La conoscenza dell’utente a cui è destinato il prodotto o servizio è alla base della progettazione della User Experience. L’utente è inteso come persona con dei bisogni specifici, un bagaglio di esperienze pregresse, conoscenze, aspettative, emozioni, capacità cognitive e modelli mentali tramite cui esperisce il mondo.
Proprio questo interesse verso i meccanismi di pensiero, memoria e percezione della persona fa sì che lo UX design tragga un grande contributo da quanto teorizzato dalla psicologia cognitiva.
In questo articolo, parleremo di Cognitive User Experience, cioè di come il funzionamento del pensiero umano influenza l’esperienza che le persone hanno con i prodotti e i servizi, fisici o digitali che siano; e di come ciò sia rilevante nella progettazione dell’esperienza utente.
Euristiche e bias cognitivi: facciamo chiarezza
I concetti di euristica e bias cognitivo sono fondamentali per comprendere buona parte del funzionamento del pensiero delle persone nella vita quotidiana.
Essi compaiono spesso insieme e, altrettanto spesso, vengono usati in modo intercambiabile. Iniziamo, dunque, facendo un po’ di chiarezza in proposito con una breve e semplice introduzione a questi concetti.

Cosa sono le euristiche
Le euristiche sono processi e strategie di pensiero semplificati. In altre parole, sono delle scorciatoie efficienti o generalizzazioni, che ci consentono di fare valutazioni e prendere decisioni rapidamente nella vita di tutti i giorni, riducendo il carico cognitivo; tuttavia possono portare a conclusioni irrazionali o imprecise.
Perché usiamo le euristiche?
L’utilizzo di questo tipo di scorciatoia mentale si rende necessario, e in realtà anche molto utile, proprio a causa della natura stessa del sistema cognitivo umano.
Esso, infatti, si trova spesso ad agire in condizioni di razionalità limitata. Questa idea, teorizzata per la prima volta da Herbert Simon, indica che, durante il processo decisionale, la razionalità di un individuo è limitata dalla quantità di informazioni a sua disposizione, dal tempo entro il quale deve prendere la decisione e dalle sue capacità cognitive.
Partendo da questa idea, gli psicologi Amos Tversly e Daniel Kahneman (1974) hanno proposto il concetto di euristica: gli individui sviluppano scorciatoie di pensiero, più o meno logiche, che utilizzeranno in modo inconsapevole ed automaticamente per poter valutare e decidere rapidamente anche in condizioni di razionalità limitata.
Esempi di euristiche
Per rendere più chiaro il funzionamento delle euristiche, vediamo alcuni esempi:
Euristica della rappresentatività
Questa euristica ci aiuta quando dobbiamo valutare la probabilità che un evento si verifichi. In questo caso, valutiamo la probabilità di un’ipotesi basandoci sulla similarità o meno con un’immagine mentale esistente o uno stereotipo. L’euristica è funzionale poiché nella maggioranza dei casi la conclusione a cui arriveremo sarà abbastanza corretta, ma appunto essendo una scorciatoia potrebbe farci sbagliare.
Ad esempio, se vi mostrassero un uomo con un dolcevita nero, gli occhiali dalla montatura spessa e un iMac davanti a lui; e un uomo in giacca e cravatta con una borsa di pelle; e vi chiedessero chi di loro è un designer, probabilmente indichereste il primo basandovi sull’immagine mentale che avete di questo gruppo di persone.
Conoscere il funzionamento di questa scorciatoia è utile per chi si occupa di UX, ed è il motivo per cui in questo campo è sempre bene basarsi soprattutto sui dati quando definiamo chi è l’utente.

Euristica della disponibilità
Secondo questa euristica, quando prendiamo decisioni sul futuro o facciamo delle valutazioni, tendiamo a dare più peso alle informazioni che ci vengono in mente più rapidamente o ad eventi più recenti o memorabili.
Così, ad esempio, tendiamo a pensare che l’aereo sia un mezzo di trasporto rischioso basandoci sui nostri ricordi circa grandi disastri aerei e film famosi; mentre i dati statistici ci dimostrano che è l’automobile il mezzo più rischioso, con il maggior numero di incidenti mortali. Non avendo a disposizione immediatamente dati statistici, ci siamo basati sui ricordi più vividi.
Cosa sono i bias cognitivi
I bias cognitivi sono errori sistematici che incidono sulle nostre valutazioni e decisioni, sono di fatto delle euristiche inefficaci che si fondano su percezioni errate o deformate, pregiudizi.
Oltre che nell’ambito della psicologia cognitiva, la ricerca sui bias cognitivi è di interesse per molti altri settori. Economia comportamentale, neuromarketing, comunicazione, politica e non solo hanno utilizzato la conoscenza di questi meccanismi mentali per comprendere e migliorare i propri risultati, a volte anche in modo non del tutto etico.
Questo ci dà un’idea dell’importanza di conoscere i bias cognitivi e in generale come funzionano le persone.
Importanza dei bias cognitivi nello UX design
Abbiamo già ricordato che obiettivo dello UX design è progettare esperienze semplici ed intuitive, che rispondano ai bisogni degli utenti. Per raggiungere questo obiettivo è fondamentale conoscere l’utente per cui stiamo progettando, e l’indagine sui bias cognitivi ci aiuta proprio in questo senso.
Come esperti dell’esperienza utente, dobbiamo aiutare l’utente a raggiungere il suo scopo prendendo in considerazione anche i possibili bias cognitivi che si possono attivare durante l’interazione con l’interfaccia.
Considerando che anche noi designer e ricercatori UX siamo delle persone, dovremo fare attenzione a non inserire i nostri bias nei prodotti che stiamo progettando, magari facendo supposizioni su cosa pensano gli utenti basandoci involontariamente su una generalizzazione errata.
Per evitare questo, e alla luce di quanto sappiamo del funzionamento della mente umana, dovremo:
- basarci solo su dati reali, non su opinioni o supposizioni basate sulla nostra esperienza personale;
- essere coscienti di come funzionano i bias cognitivi e mettere alla prova le nostre conclusioni ripercorrendo il ragionamento che ci ha condotto fin lì;
- beneficiare del confronto con i colleghi, che può mettere in dubbio le nostre certezze e farci scoprire di essere caduti in una generalizzazione infondata;
- conoscere il funzionamento delle euristiche e i bias cognitivi.
Esempi di bias cognitivi che gli specialisti della UX dovrebbero conoscere
Abbiamo selezionato alcuni tra i bias cognitivi, che a nostro avviso ogni UX designer e UX researcher dovrebbe conoscere:
- confirmation bias;
- paralisi della scelta;
- social proof o riprova sociale;
- bandwagon effect;
- Effetto IKEA (IKEA effect);
- avversione alla perdita;
- paralisi dell’analisi;
- wording bias;
- framing effect.
Confirmation bias – Vediamo quello che ci aspettiamo di vedere
Nel bias della conferma, tendiamo a considerare i fatti in maniera selettiva, dando più importanza a quegli elementi che confermano la nostra ipotesi iniziale e ignorando quelli che non sono in linea con quello che ci aspettavamo di vedere confermato.
È uno dei classici errori in cui possono cadere designer e ricercatori, che potrebbero tendere a interpretare i dati oggettivi in modo da confermare le loro ipotesi. La chiave per evitarlo è nel confronto con i colleghi, i quali potranno aiutarci a valutare in modo critico le nostre deduzioni.
Paralisi della scelta – Troppe possibilità, non so cosa scegliere
Questo bias è anche conosciuto come “choice overload” e si verifica nel momento in cui siamo di fronte a molte possibilità di scelta e ci sentiamo appunto paralizzati.
Al contrario di quanto si penserebbe (più opzioni ci sono, meglio è), più è ampia la gamma, più ci è difficile compiere una decisione.
Un esempio è l’esperienza abbastanza comune di fronte al catalogo di un qualsiasi servizio di streaming video: nel momento in cui vogliamo scegliere cosa, ci sentiamo sopraffatti dalla quantità di possibilità a nostra disposizione.
Come UX designer, dovremo progettare prodotti che guidino l’utente nella scelta, evitando di farlo sentire sopraffatto o smarrito, anche di fronte ad un numero di possibilità ampio.
Social proof – Se tutti gli altri hanno scelto così, sarà buono
Nel caso del social proof bias (o riprova sociale), siamo di fronte ad un fenomeno sia psicologico sia sociale. Cerchiamo conferma su come agire correttamente, osservando le altre persone intorno a noi, specialmente quando non abbiamo informazioni circa l’oggetto della decisione che dobbiamo prendere.
Ad esempio, quando cerchiamo di capire se possiamo utilizzare una porta in un edificio pubblico, osserviamo se altre persone lo fanno; oppure prendendo ad esempio un e-commerce, sceglieremo probabilmente il prodotto che ha il maggior numero di recensioni positive.
Nel caso della ricerca UX, questo bias cognitivo nei partecipanti ad un focus group potrebbe falsare i risultati, per questo sarà necessario creare degli scenari in cui questa variabile sia tenuta sotto controllo.
Bandwagon effect – Se tutti la pensano così, forse dovrei anch’io
Tradotto in italiano come effetto carrozzone, il bandwagon effect indica la tendenza ad adottare un comportamento o un’opinione nel momento in cui molte altre persone lo hanno già fatto. Più persone avranno già adottato questo comportamento, più sarà forte questo effetto.
Prendiamo il caso di un nuovo gruppo musicale che non rientrerebbe normalmente nei nostri gusti. Questo gruppo diventa molto famoso, tutti ne parlano, e vincono diversi premi. A questo punto, potremmo trovarci ad ascoltarlo perché se piace a così tante persone, magari vale la pena, e alla fine convincerci che in realtà piacciono anche a noi.
Nello UX design, il bandwagon effect può agire insieme alla riprova sociale nel momento in cui viene ad esempio mostrato il numero di persone che hanno già acquistato un prodotto su un e-commerce.
Effetto IKEA (IKEA effect) – Se l’abbiamo fatto noi, allora è buono
Questo effetto prende il nome dalla famosa azienda svedese di mobili assemblabili fai-da-te, e si riferisce al fatto che quando partecipiamo alla creazione di qualcosa, tendiamo poi ad attribuire a questa un valore maggiore rispetto a quanto vale oggettivamente.
Nel caso dello UX design, questo bias è molto interessante e ci mostra come permettere all’utente anche solo di personalizzare la propria esperienza con il prodotto possa influire positivamente sul valore percepito dall’utente.
Un altro aspetto da tenere in considerazione è che, quando progettiamo un nuovo prodotto, potremmo subire anche noi questo stesso effetto, sopravvalutando idee e caratteristiche del prodotto solo perché le abbiamo progettate noi.
Avversione alla perdita – È più importante non perdere 10€, piuttosto che vincerli
Questo bias cognitivo spiega perché ciò che proviamo quando perdiamo dei soldi, o un qualsiasi altro oggetto di valore, è per noi più rilevante e forte rispetto a quanto avremmo provato se all’opposto avessimo guadagnato la stessa somma di denaro.
Il successo dei periodi di prova gratuita sono un esempio di come funzioni questo bias: man mano che il prodotto o servizio entra a far parte della vita dell’utente, rinunciare ad esso sarà interpretato come un perdita e, dato questo bias, probabilmente l’utente accetterà di acquistarlo.
Analysis Paralysis – L’analisi infinita blocca il processo decisionale
Con paralisi dell’analisi si intende l’incapacità di prendere una decisione a causa dell’eccessiva analisi dei dati disponibili e delle possibili conseguenze derivanti dalla scelta.
La paura di commettere un errore o di rinunciare ad arrivare alla soluzione perfetta paralizzano la persona, che in realtà così rinuncia al vantaggio di prendere una decisione in modo tempestivo.
Quando progettiamo un’esperienza utente, possiamo evitare che la persona finisca in questa paralisi fornendogli il giusto numero di informazioni al momento giusto, guidandola così nel suo processo decisionale e non facendola sentire sopraffatta dalla mole di considerazioni necessarie alla scelta.
Wording bias – Il potere delle parole
Il wording bias ci ricorda l’importanza e il potere delle parole. In particolare si applica nel campo della ricerca, e si riferisce a come una formulazione inadeguata delle domande possa influenzare le risposte.
Ad esempio, è differente chiedere “Quanto le è piaciuto questo prodotto?”, piuttosto che chiedere “Come descriverebbe l’esperienza con il nostro prodotto?”. Nel primo caso stiamo inserendo nella domanda un wording bias, suggerendo che in qualche modo il prodotto deve essere piaciuto.
Nel campo della User Experience, ogni UX researcher dovrebbe conoscere il funzionamento di questo bias per evitare di indirizzare le risposte e ottenere risultati di ricerca non corrispondenti alla realtà degli intervistati; così come gli UX writer, che già lavorano quotidianamente con le parole per migliorare e guidare l’esperienza degli utenti.
Framing effect – La presentazione influenza la valutazione
Il framing effect si verifica quando una scelta o una valutazione sono influenzate dal modo in cui vengono presentate le informazioni. Quindi partendo di fatto dalle stesse informazioni, potremmo arrivare a conclusioni molto diverse.
Un esempio comune si può trovare sulle confezioni dei prodotti. Se su dei quaderni leggiamo “40% di carta riciclata nel prodotto” oppure “60% di cellulosa vergine nel prodotto”, stiamo dando la stessa informazione, ma probabilmente ad una valutazione veloce penseremo che i quaderni con la prima frase siano più sostenibili rispetto ai secondi.
L’esempio riguarda una tattica di marketing, ma possiamo incorrere nello stesso effetto anche quando siamo di fronte a dei risultati di ricerca, a partire dai quali dovremo prendere delle decisioni sul design, come ha dimostrato anche un test svolto dal NN Group nel 2016 su un gruppo di 1037 UX practitioner.
Orientarsi tra i bias cognitivi
Attualmente sono stati teorizzati più di 190 bias cognitivi, un numero ampio che ha necessitato di una categorizzazione per mettere ordine e rendere più semplice orientarsi tra i bias.
Nel 2019, il nostro team di ricerca ha progettato un nuovo sistema di classificazione dei bias cognitivi che superasse alcuni limiti e prendesse in considerazione non solo categorie e sottocategorie, ma anche delle zone di transizione tra le categorie stesse. Il risultato della ricerca ha portato quindi anche ad una nuova rappresentazione grafica di un iceberg suddiviso in zone, utile per orientarsi e interpretare le correlazioni tra i diversi bias.

Sempre allo scopo di una migliore categorizzazione, un altro importante contributo è quello di Buster Benson, che in un articolo del 2016 propone una nuova sistema di categorie e sottocategorie, la cui denominazione corrisponde ad un problema specifico a cui rispondono diversi bias cognitivi. La rappresentazione grafica della categorizzazione di Benson, disegnata da John Manoogian III, fornisce un ulteriore strumento utile.

Conclusioni
Il sistema cognitivo umano si trova spesso in condizioni di risorse limitate, dal punto di vista UX, dobbiamo fare in modo che l’utente compia le scelte migliori per raggiungere il suo obiettivo, considerate le risorse che avrà a disposizione nei vari scenari in cui utilizzerà il nostro prodotto o servizio, e i suoi possibili bias cognitivi.
Ogni volta che prendiamo delle decisioni o facciamo delle valutazioni in quanto designer o ricercatori UX, dovremmo sempre tener presente che siamo esseri umani e che utilizzano le medesime euristiche e incappiamo negli stessi bias cognitivi dei nostri utenti.
Per concludere, alla luce degli importanti contributi teorici della psicologia cognitiva che abbiamo presentato in questo articolo, possiamo suggerire alcune soluzioni utili per una migliore progettazione UX:
- domandiamoci sempre in base a quali elementi stiamo sostenendo un’idea piuttosto che un’altra;
- confrontiamoci con le altre persone, perché è attraverso il confronto che possiamo mettere in dubbio le nostre assunzioni;
- basiamoci sempre sui dati e su ciò che dicono gli utenti.
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